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lunedì 6 agosto 2012

Considerazioni circa “L’arte e la sua ombra” di Mario Perniola

Luca Zanchi, Salamanca 2012

Neti, neti[1] - un’estetica apofatica (Si comprehendisti, no est Deus...Arte) [2] 

L’intero testo de “L’arte e la sua ombra”[3] si articola all’interno di un paradigma, o meglio, di una “strategia” apofatica.
Con lucidità vengono tracciate posizioni antitetiche, antinomie inquadrate nelle rispettive limitazioni, come il confinamento dell’arte negli stretti confini dell’opera (feticismo) in antitesi con la dissoluzione dell’arte nell’immediatezza della comunicazione; il maschile in opposizione al femminile; pop-art contro situazionismo, e così via... A questo punto - senza collocarsi in relazione dialettica (ovvero senza schierarsi a favore di un’antinomia o di un’altra - “neti neti” - ma senza nemmeno elaborare una sintesi pacificante), Perniola indica una “terza via” traslando il discorso a un territorio “altro”, pertinente all’ambito della “differenza”.
Questo spazio “altro” viene arredato da Perniola con metafore estremamente plastiche, tanto allusive quanto vaghe e sfuggenti: In alternativa allo scontro dualista fra feticismo mercificato e comunicazione di massa, diurna, immateriale e trasparente, viene proposto il concetto di “ombra”, margine oscuro ed enigmatico che si sottrae allo sguardo indagatore che vorrebbe esplicitare l’arte fino a farne una parafrasi. Proprio come l’ombra, che dinamicamente si sposta collocandosi all’opposto del raggio di luce che investe l’oggetto, anche l’arte nasconderebbe nell’oscurità il suo “ubi consistam”, il proprio nucleo costitutivo.

In alternativa all’antinomia di maschile e femminile viene proposto un “neutro” che non è sintesi, bensì infinita declinabilità di alternative di genere.
Fra il considerare l’arte come oggetto di consumo, e il risolvere l’arte nella comunicazione, si propone l’idea di “resto” come vestigia, baluardo della differenza, come resistenza irriducibile.

E infine dinnanzi al lutto per la morte della trascendenza, e al conseguente nichilismo culturale, fra due alternative - la deriva malinconica, oppure il reinvestimento in un nuovo oggetto (ovvero in questo caso la rifondazione del trascendente), viene indicata una terza possibilità nell’“incorporazione criptica”.
Associare questo testo di Perniola, così critico rispetto a qualunque spiritualismo sublimato, alla teologia negativa è indubbiamente provocatorio, eppure lo stesso Foucault, tracciando la genealogia di un “Pensiero del Fuori”[4] traccia una linea che dalla teologia negativa dello Pseudo Dionigi, passando per la sconsacrazione di De Sade, l’epifanizzazione scenica di Artaud, giunge a Batalle, Klossowski, Blanchot.

E dopotutto lo stesso Perniola nel capitolo “L’arte e il resto” chiama in causa proprio la religione quando attribuisce a Debord  un “moralismo anti-estetico e iconoclastico, le cui origini risalgono alla Riforma”[5], affermando che “In Debord resterebbe vivo e operante l’orientamento antiestetico e antimondano della rivoluzione religiosa del XVI secolo”…(aggiungerà più avanti che Debord è totalmente concentrato sul conflitto presente, nella totale assenza di un’utopia futura).
Come scrive Miriam Mirolla a proposito del Situazionismo, “In un rapporto del 1961, approvato all’unanimità alla V Conferenza dell’Internazionale Situazionista, si sancisce che: ‘Nel mondo capitalista la vita è organizzata in modo spettacolare… Si tratta di non elaborare lo spettacolo del rifiuto, ma rifiutare lo spettacolo […] dunque gli elementi distruttivi di questo spettacolo non devono più essere opere d’arte. Una volta per tutte, non vi è situazionismo, né opere d’arte situazioniste’. Da questo momento in poi, il Situazionismo offrirà al mondo soltanto la sua programmatica sparizione anti-spettacolare [6]. 
Non dovrebbe quindi stupire che Perniola, erede del Situazionismo e reduce del suo naufragio nel silenzio, assistendo al trionfo spettacolare dell’immagine mercificata dell’incipiente era post-media[7], debba divincolarsi fra diverse esigenze: muovere una doverosa critica alla mercificazione feticista e capitalista della società dello spettacolo, e al contempo riformulare alcune posizioni situazioniste evitando di cadere nello stesso moralismo iconoclasta. Sottrarsi agli effetti nichilisti e malinconici della “morte di Dio”, senza tuttavia proclamarne una risurrezione.
Preso fra queste opposte esigenze l’autore di “L’arte e la sua ombra” cerca uno spazio eterotopico[8] in metafore e categorie (la cripta, il neutro, l’ombra, etc.) che gli consentano un recupero se non proprio della trascendenza, quantomeno di un margine di trascendentalità, e di criticare la diarrea iconica post-mediatica, senza tuttavia giungere a un aniconismo radicale - consentendo la sopravvivenza di un resto, un’eccedenza enigmatica, in cui custodire il nucleo vitale dell’arte.

In questo senso, pur non essendovi religiosità esplicita in Perniola, il paradigma apofatico sembra in lui traslato e applicato a salvaguardia non più del Divino o dell’Assoluto, bensì di un nocciolo vitale, ineffabile, irriducibilmente trasgressivo, che sarebbe pietra fondante dell’arte e della filosofia, proprio come le immense cattedrali gotiche, fatte di vetro e di luce, poggiano su oscure cripte che custodiscono antichi tesori reliquari…
Questa scintilla di vitalità sarebbe il “tesoro” che si vorrebbe mettere al sicuro tanto dallo sguardo parafrasante (profanatore!) della comunicazione di massa, quanto dalla mano concupiscente del feticista.
Come le più sacre reliquie, morte eppure oscuramente attive nelle profondità criptiche di una cultura che è secolarizzata solo in superficie, per Perniola arte e filosofia continuano ad essere vive nel fenomeno dell’incorporazione, e il filosofo-artista ne sarebbe il guardiano psicopompo.

*

La metafora dell’incorporazione criptica[9]

In diversi momenti del testo Perniola ribadisce l’intersezione di arte e filosofia nell’occuparsi dell’eccedenza, del resto, e della differenza. Tanto l’artista quanto il filosofo risponderebbero a un imperativo di eccezionalità,  apportando un contributo trasgressivo ai sistemi in cui operano.
Ciò per l’autore equivale a predicare la propria libertà di essere artista, al pari di filosofo: di fatto, superata la fase negativa, del ‘neti neti’, al momento di suggerire la sua proposta alternativa Perniola non pronuncia una definizione positiva, e non introduce chiari parametri analitici, ma al contrario elabora metafore che hanno molto di artistico (sono iconiche, visuali, poetiche, e ampliamente allusive). Metafore come l’ombra e la cripta, più che chiarificare, ordinare, illuminare, sono categorie fatte per nascondere, confondere, velare.
Il concetto medesimo di critica (e la teoria dell’arte, e l’estetica, non possono prescindere da un contributo critico) al contrario imporrebbe un’operazione di krinein, e quindi di distinzione, che richiederebbe invece un attento procedere “diurno”. In questo senso cripta e critica sono inconciliabili e di fatto potremmo attribuire a Perniola un certo grado di astinenza critica - fatta eccezione per la spietata valutazione delle critica altrui, di movimenti artistici e approcci filosofici pregressi, al momento di affacciarsi direttamente sul fenomeno artistico, piuttosto che procedere in senso critico, allora vengono invocate l’ombra e l’oscurità, imponendo una metafora topica che colloca il fenomeno artistico in una perpetua epochè strutturale.

La giustificazione per il ricorso alla metafora della cripta giunge a Perniola dalla categoria psicanalitica dell’incorporazione criptica[10], delineata originariamente da Freud, sviluppata da Abraham e Torok, e traslata in campo estetico da Derrida.
Partendo dall’interpretazione dell’attuale crisi del logos, con i suoi sintomi di cinismo e nichilismo, la cultura occidentale contemporanea verrebbe trattata come un corpus unico, attuando una analogia (di per sé sempre discutibile) fra sistema psichico individuale, e macro-sistema culturale collettivo. A questo punto si adotterebbero metafore nate in un contesto clinico e psico-patologico, per applicarle a un contesto sociale la cui presunta crisi è interpretata come malattia.

Nel caso specifico, la deriva dei grandi sistemi e la perdita della trascendenza, associabili alla metafora nietzschiana della morte di Dio, verrebbero trattati alla stregua dei sintomi di un lutto irrisolto.
Perniola suggerisce la dinamica dell’incorporazione criptica come valida alternativa (terza via “differente”) rispetto all’introiezione e alla malinconia: grazie ad essa un tesoro che brilla nell’oscurità sopravvivrebbe in gran segreto, installandosi in modo “magico e istantaneo” nel sistema continuando a operare nell’ombra.
Sarebbe bene sottolineare che nessun testo psicologico clinico parlerebbe in toni tanto entusiasti e romantici della dinamica dell’incorporazione criptica additandola come forma di elaborazione del lutto preferibile alla malinconia, o all’introiezione e al reinvestimento oggettuale.
L’incorporazione costituisce infatti un processo di scissione di difficile cura, di origine arcaica e quindi particolarmente resistente all’intervento terapeutico. Diversamente dall’introiezione (che presuppone una relazione fra un soggetto e un oggetto separati, in cui il soggetto assume in sé una  “parte” della rappresentazione dell’oggetto), l’incorporazione agisce prima e al di fuori del processo di simbolizzazione (in questo senso è arcaica, e per dirla come Perniola stesso, riprendendo Lacan, è “idiota” in quanto non mediata dall’elemento simbolico), e assume in sé l’oggetto nella sua totalità, acriticamente (ovvero senza operare un discernimento critico)[11].

Infine l’incorporazione rappresenta una forma di “incistamento” patologico così refrattario al cambiamento, da estendersi oltre il soggetto singolo fino a ripercuotersi a livello famigliare sulle generazioni successive, arrivando a costituire una delle principali vie di trasmissione transgenerazionale della sofferenza psichica[12].

*

I vampiri dell’arte

In questa trasposizione linguistica operata da Perniola sulla scia di Derrida è legittimo accettare un margine di modificazione semantica dei termini, per cui ciò che in contesto psicanalitico pertiene a una dimensione inequivocabilmente patologica, può essere in contesto estetico connotato positivamente, e accantonando l’ortodossia filologica possiamo valutare la proposta di Perniola immaginandone le possibili implicazioni.
Il concetto medesimo di una possibile attuabilità dell’epochè è di per sé radicalmente discutibile[13], applicato poi al sistema artistico, l’atto di collocare l’arte nell’ombra dell’indicibile fornisce ottime premesse per restaurare, volenti o nolenti, il mito di un “senso artistico”, attitudine innata nel critico quanto nell’artista a captare o esprimere il sublime, divenendo custodi auto-proclamati di un’idea di arte mai realmente dichiarata e discussa.

Inevitabilmente tanto il sistema dell’arte quanto quello artistico, operano scelte drastiche in termini di esclusione o integrazione, concedendo o negando sostegno economico, accademico, mediatico, decretando notorietà oppure invisibilità e oblio, elogiando e premiando o stroncando. Il fatto che simili operazioni non abbiano un orizzonte critico di riferimento  per operare la propria cernita non può che esporre l’arte all’assolutismo arbitrario e volubile dei singoli, e all’opportunismo speculativo del mercato.
Se da una parte possiamo apprezzare il nobile silenzio del mistico, che tace se non per decostruire apofaticamente le certezze altrui, dall’altra fintanto che si decide di rimanere nel mondo secolare, e fintanto che si continuano a scrivere libri rivestendo cariche accademiche e occupando uno spazio nella cultura, allora una tensione analitica mi sembra indispensabile e doverosa.
La strategia di porre l’arte (e la filosofia) in uno spazio interno al sistema, e tuttavia irriducibilmente  “altro”, capace di coesistere senza integrarsi, risponde allo scarso interesse di Perniola per una dialettica conciliatoria del conflitto, e di conseguenza l’installazione di un rifugio criptico nelle profondità oscure del sistema culturale sarebbe un buon modo per ribadire, mutatis mutandis, l’autonomia autoreferenziale dell’arte (autonomia e autarchia sarebbero appunto prerogative dell’unità criptica frutto del processo psicologico di incorporazione).
Eppure, malgrado la puntigliosità di tutte le osservazioni finora mosse, se ci risolviamo ad accordare a Perniola lo status di artista (o di mistico…), non possiamo che provare simpatia per il suo desiderio “carbonaro”[14] di una “resistenza artistica” che in un’epoca quasi “post-atomica” (o semplicemente post-media) sopravviva rifiutando i compromessi dell’integrazione, aspettando, tramando nell’ombra, custodita da scaltri criptofori, guardiani di tombe di non-morti, pronti tanto a guidarci al cuore dell’esperienza estetica, come a dirottarci qualora giungiamo dotati di domande indiscrete, troppo dirette, o troppo diurne per i vampiri dell’arte.



[1] Neti neti è una formula induista, appartenente all’Upanishad, “né questo né quello”, a indicare che Brahman, l’essenza spirituale su cui si fonda l’esistente è al di là di qualunque definizione. 
[2] Cfr.  S. Agostino, Sermone 52
(Latino) « Quid ergo dicamus, fratres, de Deo? Si enim quod vis dicere, si cepisti, non est Deus: si comprehendere potuisti, aliud pro Deo comprehendisti. Si quasi comprehendere potuisti, cogitatione tua te decepisti. Hoc ergo non est, si comprehendisti: si autem hoc est, non comprehendisti. Quid ergo vis loqui, quod comprehendere non potuisti?»       
(Italiano)« Cosa potremo dunque dire di Dio? Poiché se tu dichiari di poterne dare una definizione, quella non sarebbe la definizione di Dio. Se tu dichiari di aver compreso cosa Dio sia, ciò significa che tu hai compreso qualcosa di diverso e che non è Dio. Se tu dichiari di averlo compreso con il pensiero, ciò significa che con tale pensiero hai voluto ingannarti. Ciò, quindi, non è Dio, se dichiari di averlo compreso. E se lo è, allora non puoi averlo davvero compreso. Perché dunque vuoi parlare di ciò che non hai potuto comprendere? »
[3] Cfr. Perniola, M., Einaudi, Torino 2000
[4] Cfr. Foucault, M., Il pensiero del Fuori, ediz. SE, 2008, Milano
[5] Cfr. Perniola M., L’arte e la sua ombra, Einaudi, Torino, 200, pag. 81
[6] Cfr.  Mirolla, M., e Zucconi, G., Arte del ‘900, 1945-2001, Mondadori, 2002
[7] Il testo L’arte e la sua Ombra è stato pubblicato nel 2000
[8] riferimento a Foucault è mio e non di Perniola, dal momento che Foucault non è mai menzionato  in quest’opera e nessun riferimento bibliografico vi viene riportato.
[9] In italiano la parola criptico ha un senso lato:
criptico: [crìp-ti-co] aggettivo (pl. crìptici) misterioso, dal significato nascosto: Esempio: una frase criptica Sinonimi: oscuro. cfr. http://www.wordreference.com/definizione/criptico
[10] Crf.  N. Abraham e M. Torok, La scorza e il nocciolo, Borla, Roma 1993 e Freud, S., Lutto e malinconia, in Opere, Bollati Boringhieri, Torino 1967
[11] Cfr. Romeo Lucioni - L’identificazione, http://www.adhikara.com/edizioni-hualfin/volume-1-2/identifi.pdf
[12] Cfr. Sarantis Thanopolus (Psicoanalista AFT S.P.I, I.P.A.), La matrice transgenerazionale del disagio psichico,
Conferenza Di Presentazione Della Associazione Psicopatologie Contemporanee “Il Corpo Specchio”, Verona 21 Aprile 2012   http://www.fidadisturbialimentari.com/corpospecchio/senza-categoria/la-matrice-transgenerazionale-del-disagio-psichico/
[13] Sulla scia di Gadamer e dell’ermeneutica ritengo impossibile prescindere da un articolato apparato che costella la precomprensione con cui ci si avvicina al fenomeno ( Cfr. Gadamer, Verità e metodo)
[14] La Carboneria è stata una società segreta italiana fondata a Napoli durante i primi anni dell’Ottocento su valori patriottici e liberali. Le riunioni dei gruppi avvenivano in sotterranei e ambienti oscuri.

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