- a cura di Luca Zanchi in collaborazione con Maria Teresa Medaglia -
‘Quando il nostro cervello viene sottoposto a stimoli di natura contraddittoria l’attività cerebrale risulta maggiore rispetto al processamento degli stessi stimoli ma non contraddittori. Inoltre, quando un assunto particolare viene contraddetto da un assunto universale la rete cerebrale attivata risulta essere maggiore rispetto a quella attivata quando un assunto universale viene contraddetto da una assunto particolare. La rete cerebrale coinvolta nel processo di individuazione della contraddizione è quella temporo-parietale e frontale, deputata all’apprendimento e alla valutazione del rischio. Un processo di auto-gratificazione sembra avere luogo quando il compito di individuazione della contraddizione viene portato a termine’. Questo è in sintesi quanto stato scoperto da un gruppo di ricercatori tutti italiani coordinato dal Dott. Camillo Porcaro nelle Università inglesi di Birmingham.
Accogliere la confutazione nell’elaborazione teorica, propiziare uno spirito critico nel percorso educativo, bilanciare un potere al governo con un’opposizione, includere il contraddittorio in un’informazione pluralista, accordare il diritto di manifestazione e in generale di opinione - tutto questo sembrerebbe un’acquisizione maturata da tempo nella cultura occidentale e in buona parte travasata nel senso comune. Vero è tuttavia che tale “buonsenso” è stato ed è tuttora periodicamente oggetto di assalti culturali e ideologici.
L’importanza allora di una simile ricerca si profila proprio nell’assegnazione di una nuova consistenza scientifica, forte di una misurabilità empirica, a ciò che è da tempo assunto come un valore democratico, filosofico, culturale.
L’equipe coordinata dal Dott. Camillo Porcaro si è rigorosamente attenuta all’ambito specifico del binomio di neuroscienze e logica, registrando e valutando l’attività cerebrale dei soggetti durante lo svolgimento di compiti di ragionamento atti all’individuazione della contraddizione attraverso le tecniche di neuroimaging quali l’elettroencefalografia ad alta densità (hd-EEG) e la risonanza magnetica funzionale (fMRI). Gli stimoli somministrati in sede sperimentale erano quindi tutti di natura logica (brevi frasi chiamate “proposizioni categoriche aristoteliche” contenenti operatori o quantificatori logici quali, ‘Qualche’ e ‘Tutti’ in una relazione di contraddittorietà e di non contraddittorietà). Le medesime tecniche di neuroimaging sarebbero in grado di elaborare la risposta cerebrale anche in presenza di stimoli composti, come ad esempio nel caso di stimoli che includano il colore. Queste tecniche quindi avrebbero le potenzialità per una estensione estetica della ricerca. Tuttavia per ora l’opera d’arte coinvolgendo una pre-comprensione culturale, e relazionandosi ad un contesto a sua volta carico di connotati culturali, costituisce uno stimolo generatore di processi cerebrali eccessivamente complessi per essere interpretati con altrettanta precisione per mezzo delle tecniche attualmente disponibili. Ciò però non toglie che quanto già verificato dalle neuroscienze in un “setting sperimentale” accuratamente circoscritto, non possa essere applicato come un possibile setaccio interpretativo nell’ambito di una valutazione estetica più ampia.
Qualora infatti scegliamo di assegnare all’“Arte” una tensione pedagogica ed evolutiva, è importante allora domandarsi quali fattori concorrano maggiormente ad attivare il fruitore, quale tipo di opere sia potenzialmente più ‘attivante’, e come possa l’artista propiziare e accrescere tale attivazione- e ciò tenendo presente l’acquisizione di questa nuova ricerca, grazie alla quale sappiamo ora che sottoponendo al fruitore elementi contraddittori da elaborare nell’opera d’arte, non solo lo si impegnerebbe nella risoluzione di un problema, ma lo si esporrebbe anche a una forma di piacere intellettuale. Sappiamo inoltre che nel concetto di interattività risiedono diversi gradi di attivazione, e che lì dove vi sarà contraddizione, meglio ancora quando individuata in concetti universali, l’interattività sarà all’insegna di un’attivazione cerebrale certamente più intensa e sofisticata.
Se proporre stimoli contraddittori costituisce dunque un plusvalore percettivo, sarebbe allora interessante tracciare alcune considerazioni circa alcuni esempi paradigmatici del connubio di arte e contraddittorio, a partire da una delle opere più radicali e rivoluzionarie del 20esimo secolo, la famosa ‘Fontana’ di Marcel Duchamp.
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"Fontana" - M. Duchamp, 1917 |
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Marcel Duchamp accanto alla "Fontana" |
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Il termine “anti-arte”, coniato dallo stesso Duchamp, è quanto mai descrittivo dell’operazione artistica portata avanti in questo readymade, in cui l’artista non si cimenta nella produzione oggettuale, bensì si limita a un intervento selettivo e propositivo dell’oggetto, spostando il baricentro dell’operazione artistica dall’esecuzione di un’ “opera realizzata ad arte”, alla selezione e somministrazione di stimoli percettivi complessi. Di riflesso l’interpretazione di quest’opera si dovrà incentrare su parametri concettuali piuttosto che strettamente formali.
Proviamo allora a integrare tali criteri interpretativi con un parametro che rilevi l’eventuale scelta di “contraddizioni attivanti” a monte della selezione e installazione del ready-made.
Immaginando di seguire un ipotetico fruitore che si approcciasse a quest’opera nel 1917, dovremmo in primo luogo attribuirgli una serie di pre-giudizi culturali a costellare un’idea di bello e un concetto di “Arte”, connessi a una stratificazione di aspettative circa quali oggetti, quali esperienze estetiche, fosse plausibile incontrare in un contesto museale o galleristico. In altre parole dovremmo iniziare con il considerare una serie di fattori estremamente complessi che sommandosi vadano a costituire la sua pre-comprensione.
Se il medesimo fruitore avesse saputo di accingersi a vedere un’opera di Duchamp, allora la conoscenza pregressa della poetica dell’artista avrebbe potuto far parte del bagaglio di informazioni preliminari alla percezione. Tuttavia è interessante notare come, almeno in occasione della primissima presentazione dell’opera, Duchamp avesse sgomberato il campo da una simile anticipazione preparatoria, firmando l’orinatoio con uno pseudonimo.
Giungendo dinnanzi all’opera una serie di contraddizioni sarebbero probabilmente state individuate (impossibile ipotizzare in quale ordine) nella disposizione dell’oggetto (ri-orientato in una posizione invertita, perpendicolare, rispetto a quella usuale), nel titolo assegnato (“fontana” e non “orinatoio”, invertendone la funzione), e nel fatto che l’artista, chiunque egli fosse, avesse implicitamente voluto collocare un orinatoio nel “patto percettivo” chiamato “Arte”. La sorpresa, forse addirittura lo sgomento, avrebbero poi ceduto il passo a una rielaborazione degli assunti concettuali della pre-comprensione alla luce dell’esperienza percettiva appena fornita dall’opera. Potrebbe poi esserne derivata una riformulazione delle idee di arte, di bellezza, di contesto espositivo, o piuttosto un rifiuto radicale dell’opera alla luce di un’incompatibilità con le medesime convinzioni estetiche pregresse.
L’entità di una contraddizione è un fatto estremamente variabile e relativo, dal momento che via via che l’opera si integra in un ‘sistema’ artistico, storicizzandosi, essa vedrà attenuarsi la propria portata contraddittoria, aprendo la strada a un ‘genere’.
Di minor portata rivoluzionaria quindi, ma pur sempre notevole, è quindi l’incursione successiva di altri artisti nell’anti-arte.
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Christian Boltanski, “La Casa Mancante”, Berlino, 1990 |
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Christian Boltanski, “La Casa Mancante”, Berlino, 1990, particolare | |
Christian Boltanski in “La Casa Mancante” (Berlino 1990), opera definibile “anti-monumentalista”, applica l’anti-arte al genere monumentale in un’operazione su due fronti. Da una parte l’aspettativa del fruitore, di trovare nel “monumento” la rappresentazione mimetica di un surrogato di ciò che è stato perduto è contraddetta da una presentazione diretta dell’assenza (il vuoto in questo caso è un “ready-un-made”, operato dal bombardamento aereo di Berlino del Febbraio 1945). Dall’altra parte un’indagine analitica è portata avanti da Boltanski e dai suoi studenti nel ricostruire con precisione la disposizione e l’identità degli abitanti dell’edificio mancante, e nel posizionare targhe collocate approssimativamente dove essi vivevano, con nominativi, data di nascita e di morte, occupazione, distinguendo gli ebrei dai non ebrei (diversità culturale persa a causa delle leggi razziali naziste). Ciò che ne deriva è la presentazione dell’identità in forma denominativa e analitica, anziché rappresentazione mimetica, e al contempo la negazione dell’identità stessa di cui è presentata l’assenza materiale. Nella scelta di non evadere tale assenza, e nell’astinenza mimetica, risiede di fatto l’efficacia della contraddizione anti-monumentalista.
Nell’artista svizzero Urs Lüthi a essere problematizzato nelle sue contraddizioni, è il concetto di identità e autoritratto.
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Urs Lüthi, Autoritratto,(particolare dell’installazione) Run for Your Life, 2000 |
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Fotografia di Urs Lüthi, dalla serie "Art is the better life", 2008, Courtesy Galerie Lelong, Zürich und Paris |
Nell’ambito dell’installazione “Run for Your Life”, 2000, l’artista presenta allo spettatore una fotografia, presumibilmente una copertina di rivista, sovraimprimendo ad essa in posizione centrale la scritta “autoritratto”. Il patto percettivo stretto con il fruitore ha quindi un ruolo prioritario nell’invito a ricondurre alla categoria “autoritratto” l’immagine sottostante- che in ultima analisi consiste in un ready-made selezionato dall’artista . Ne segue una contraddizione spiazzante fra l’identità fisica dell’autore che è maschio, in età avanzata, calvo e pingue, e la ragazza giovane e sensuale ritratta nella fotografia. Questo in diretto contrasto con il concetto mimetico di autoritratto come rappresentazione verosimigliante dei propri connotati fisici. Ciò che può conseguire dall’individuazione di queste contraddizioni è la rielaborazione, da parte del fruitore, del concetto di identità e di auto-percezione nell’autoritratto.
Gli esempi di anti-arte e di opere strutturate attorno a un criterio contraddittorio sono molteplici, ma già a partire dai pochi esempi fin qui riportati è evidente che la complessità e la ricchezza di queste opere risiede proprio nella stratificazione dei diversi piani di contraddizione, implicando tanto il piano universale (idee e convinzioni estetiche), quanto il piano particolare (l’opera, il rapporto interno fra i suoi elementi costitutivi, e le modalità di installazione). Sebbene sia evidente l’odierna impossibilità tecnica di ridurre una simile complessità di elementi linguistici e concettuali a uno stimolo percettivo generatore di effetti misurabili, cionondimeno un secolo di storia dell’arte ci testimonia chiaramente il potere dirompente dell’ “anti-opera d’arte”.
Tale potere è ribadito, piuttosto che negato, da movimenti come lo Stucchismo (Stuckism, fondato nel Regno Unito nel 1999), che incentrando la propria poetica sul concetto di “anti-anti-arte”, in aperta polemica con i luoghi ormai divenuti comuni dell’arte concettuale, propugnano un ritorno alla figurazione. Tali posizioni apparentemente discordanti rispetto all’anti-arte, di fatto loro malgrado finiscono per riconfermare un’idea di storia dell’arte contemporanea che si articola per antitesi dialettiche.
Con ciò non si vuole affermare che la contraddizione e la trasgressione siano sempre evolutive, né si vuole giustificare qualsiasi anacronismo in quanto intrinsecamente contraddittorio della contemporaneità.
Tuttavia le scoperte circa gli effetti della contraddizione sulla percezione, ed eventualmente sulla fruizione dell'opera d'arte, ci incoraggiano a valorizzare fortemente le dinamiche trasgressive dell'arte, sottraendo l'operato di tanti artisti a un'interpretazione che ne banalizzi il contributo evolutivo riducendolo alla semplice provocazione, eccentricità, autoindulgenza eretica.
Medaglia MT, Tecchio F, Seri S, Di Lorenzo G, Rossini PM., Porcaro C. Contradiction in Universal an Particular Reasoning. Hum Brain Mapp.304187-4197(2009).
STUDIO SPERIMENTALE SULLA CONTRADDIZIONE
-APPROFONDIMENTO-
a cura di Marco Vuilleumier in collaborazione con Maria Teresa Medaglia
Il cervello è una struttura estremamente complessa, probabilmente uno degli organi meno conosciuti, è diviso in zone deputate a differenti compiti di gestione, controllo e coordinazione delle attività dell’organismo e del suo rapporto con l’ambiente. Siamo in grado di leggere, parlare, ricordare, calibrare i movimenti e svolgere tutta una serie di attività in cui il nostro intervento cosciente è quasi nullo. Questo per via dell’alto grado di spontaneità con cui riusciamo ad effettuare la gran parte delle suddette attività.
Essendo la sede del pensiero, il cervello costituisce quella che nel nostro tempo viene considerata la macchina più complessa mai realizzabile. Senza questo grado di complessità così elevato non potremmo certamente essere “consapevoli” di noi stessi nella misura in cui ci vantiamo d’esserlo.
Eppure, nonostante questo, la nostra soggettività risulta essere solo la manifestazione di una componente parziale rispetto al complesso. La consapevolezza sarebbe, quindi, solo una conseguenza “emergente” del sistema, mentre il resto della struttura cerebrale assolverebbe a buona parte delle funzioni necessarie al proseguimento della vita, di cui non ci rendiamo conto fino a quando procedono in maniera regolare.
Comprendere al completo i meccanismi che ne regolano il funzionamento è uno degli obbiettivi piu’ ambiti, per il quale la comunità scientifica si prodiga costantemente; questo anche in virtù delle difficoltà d’osservazione del fenomeni cerebrali e della raccolta di dati, fondamentali per la formulazione di modelli, ipotesi e teorie.
La ricerca portata avanti dall’equipe coordinata dal Dott. Camillo Porcaro[1] aveva come fine quello di focalizzare l’analisi su uno dei fenomeni più determinanti circa il corretto ragionamento. Ragionamento che potremmo affermare essere fondato su basi della logica tradizionale, che è peraltro uno dei punti di partenza per questo studio.
Tali basi sono identificabili nel noto quadrato aristotelico fondato sulle proposizioni categoriche, ossia enunciati di carattere universale che si riferiscono alla totalità e presentano l’operatore o quantificatore logico ‘Tutti’ ed enunciati di carattere particolare che si riferiscono ad una parte e contenengono l’operatore o quantificatore logico ‘Qualche’. Tali proposizioni categoriche possono avere tra loro differenti tipologie di relazioni logiche, come il rapporto di contraddittorietà.
Ed e’ proprio sul rapporto di contraddittorietà tra proposizioni categoriche che si è cercato di comprendere maggiormente la natura di alcune dinamiche e la loro modalità di sviluppo da un punto di vista strettamente neurofisiologico.
Come vengono processate da parte del cervello informazioni di carattere contraddittorio? Categorie semantiche differenti possono essere in grado di impegnare differenti zone del cervello? Come reagisce fisiologicamente il cervello sottoposto ad una serie di stimoli dal carattere quantitativo “particolare” (riferito alla “parte”), rispetto a stimoli dal carattere quantitativo “universale” (riferito alla “totalità”)?
Questi sono alcuni degli interrogativi che hanno portato il gruppo di ricerca ad intraprendere una linea d’indagine sperimentale.
Allo scopo di perseguire il proprio fine speculativo, il gruppo di ricerca ha portato avanti uno studio in cui ad un campione sperimentale veniva somministrato un protocollo fondato su una serie di proposizioni categoriche recante una condizione di contraddittorietà. Grazie alle moderne tecniche di neuroimaging come l’elettroencefalografia ad alta densità (hd-EEG) sono stati registrati i fenomeni chimico-fisici propri dell’attività cerebrale. Tutto ciò durante uno dei passaggi cruciali del ragionamento umano: l’individuazione del carattere contraddittorio, prerequisito necessario e funzionale alla strutturazione del pensiero umano, tanto nel singolo individuo, quanto nella collettività.
Ogni esperimento che voglia definirsi tale deve necessariamente rispettare determinati criteri .
Prima di passare al vaglio un fenomeno o ancorarsi ad una teoria, è necessario strutturare un protocollo sperimentale che presenti delle condizioni da rispettare durante lo sviluppo di ogni test, al fine di ridurre il numero di variabili influenti nei sistemi che andranno poi analizzati per estrapolare gli elementi costanti o discordanti. Tutto questo è finalizzato alla formulazione di un modello interpretativo in grado di descrivere e argomentare l’ambito d’indagine, ma che può essere rimesso in discussione o abbandonato nell’evenienza che tale modello si dimostri inefficiente in una qualche sua parte, o mediante verifica.
Per l’implementazione del protocollo sperimentale sono state utilizzate, come abbiamo gia’ accennato, le proposizioni categoriche aristoteliche. Una proposizione categorica, in modo piu’ approfondito, è un enunciato composto da quattro componenti: La prima componente e’ ‘Qualche’ o ‘Tutti’, e specifica la quantità della proposizione categorica, le proposizioni con il quantificatore logico ‘Tutti’ sono chiamate universali, mentre le proposizioni con il quantificatore ‘Qualche’ sono chiamate particolari. La seconda componente e’ il termine ‘S’ ed e’ il soggetto della proposizione categorica. La terza componente e’ la copula (e’, non e’) e specifica la qualità di una proposizione categorica, le proposizioni con la componente ‘ e’ ’ sono chiamate affermative, mentre le proposizioni con la componente ‘ non e’ ‘ sono chiamate negative. La quarta ed ultima componente e’ il termine ‘P’ ed e’ il predicato della proposizione. Le proposizioni categoriche possono essere quindi distinte per qualità in affermative o negative e per quantità in universali e particolari. Combinando la distinzione qualitativa di affermativo e negativo con la distinzione quantitativa di universale e particolare si ottengono quattro differenti tipologie di proposizioni categoriche aristoteliche, le quali vennero indicate dai logici medievali con le vocali delle parole latine ‘affirmo’ e ‘nego’: Con le prime due vocali della parola latina affirmo venivano indicate le proposizioni affermative, ed in particolare con la vocale ‘a’ la proposizione universale affermativa (tutti gli S sono P, SaP), e con la vocale ‘i’ la proposizione particolare affermativa (qualche S e’ P, SiP). Mentre con le vocali della parola latina nego venivano indicate le proposizioni negative, ed in particolare con la vocale ‘e’ la proposizione universale negativa (tutti gli S non sono P, SeP), e con la vocale ‘o’ la proposizione particolare negativa (qualche S non e’ P, SoP).
Le proposizioni categoriche cosi organizzate possono essere tra loro contrarie, subcontrarie, subalterne o contraddittorie. Tutti i possibili rapporti delle diverse tipologie di proposizioni, vennero schematizzate nel noto quadrato aristotelico.
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Quadrato aristotelico |
Lo studio si è concentrato sul rapporto di contraddittorietà esistente tra due proposizioni categoriche, con il fine di indagare i processi cognitivi coinvolti nel processamento di informazioni contraddittorie.
Come già esplicitato, una delle ipotesi iniziali era quella di comprendere se differenti tipologie di proposizioni categoriche contenenti differenti tipi di quantificatori logici potessero, durante la fase di processamento delle informazioni, avere differenti comportamenti cerebrali.
Per l’osservazione del fenomeno è stato dunque necessario porre le basi per cui il fenomeno stesso potesse verificarsi.
Per dare luogo ad un rapporto di contraddittorietà, le singole proposizioni sono state presentate sotto forma di dialogo, in modo da formare coppie di proposizioni categoriche[3]. Nel setting sperimentale sono state elaborate 200 coppie di proposizioni categoriche della forma premessa-conclusione e sono state equamente divise tra contraddittorie e non contraddittorie, la metà di esse presentavano la premessa con l’operatore logico universale ‘Tutti’ e l'altra metà con l’operatore logico particolare ‘Qualche’. Tutte le coppie di proposizioni categoriche sono state presentate in modo casuale. Le coppie di proposizioni non contraddittorie costituivano gli elementi di controllo dell’esperimento. Questo permetteva ai partecipanti di non prevedere un rapporto contraddittorio costante. Se questo si fosse verificato gli individui non si sarebbero applicati in alcun ragionamento circa i termini proposti. Al contrario, con gli elementi di controllo, si è verificata una condizione in cui il soggetto è stato continuamente indotto al vaglio dell’inferenza generata dalla conclusione in riferimento alla premessa posta. Condizione utile, se non necessaria, al fine di analizzare il processo di attivazione cerebrale e la misura in cui esso si manifesta. Il protocollo contenente le coppie di proposizioni categoriche veniva sottoposto secondo un iter temporale ben preciso, il soggetto partecipante volontario all’esperimento sedeva comodamente difronte allo schermo di un computer, sul quale appariva una prima proposizione categorica o premessa e rimava sullo schermo il tempo sufficiente per essere letta dal partecipante, poi successivamente appariva sullo schermo una seconda proposizione categorica o conclusione, e dopo di cio’ veniva chiesto al soggetto se la conclusione era contraddittoria rispetto alla premessa data.
L’attività elettrica cerebrale durante il processamento delle differenti proposizioni categoriche somministrate veniva registrata mediante un sistema elettroencefalografico ad alta densità spaziale costituito da 128 elettrodi registranti posizionati in modo uniforme sullo scalpo del volontario. L’attività elettrica del singolo neurone (tali potenziali generati durante l’attivazione delle cellule nervose sono dell’entità dei milionesimi di volt) non può essere registrata dalle tecniche non invasive come l’EEG. Quello che si può registrare e’ l’attivita di milioni di neuroni che lavorano insieme nello stesso istante. Grazie a questo lavoro comune dei neuroni le tecniche non invasive come l’EEG sono capaci di registrare variazioni nell’intensità del campo elettrico, appena sopra la cute (dell’ordine di qualche micro volt).
A complicare ulteriormente la registrazione dell’attività elettrica cerebrale in modo non invasivo e’ la presenza di attività elettriche complementari che non è possibile sospendere o evitare al fine di migliorare le condizioni di sperimentazione. Si tratta difatti di attività “parallele” all’attività neuronale, come movimenti oculari, battito cardiaco, movimento e interferenze elettromagnetiche, dovute al funzionamento di apparecchiature di laboratorio. Tali attività elettriche vengono denominati artefatti biologici (movimenti oculari, battito cardiaco e movimento) e rumore ambientale (interferenze elettromagnetiche). Entrambi gli artefatti possono anche essere 10-50 volte maggiori dell’attività cerebrale registrata sullo scalpo. L’intensità di tali artefatti e’ in grado di alterare i risultati di un esperimento,
Allo scopo di separare gli elementi di artefatto rispetto all’attività’ cerebrale di interesse è stato adoperato un algoritmo capace di separare tali attività in base alle proprietà statistiche del segnale EEG registrato (ICA, Indipendent Component Analysis). Tale algoritmo e’ stato usato per la prima volta nell’ambito delle neuroscienze nel 1994, ed è oggigiorno ampiamente adoperato nel settore delle neuroscienze.
Questa forma di processo ha rivestito un ruolo di importanza non secondaria ai fini della ricerca, rendendo l’interpretazione dei dati molto meno complessa, facilitando l’estrapolazione delle informazioni. Utilizzando tale metodo è anche possibile riuscire a separare nello stesso momento due segnali differenti complessi che si manifestano nello stesso sistema, come nel caso della distinzione dell’elettrocardiogramma del feto e della madre o per l’identificazione dell’attività cerebrale fetale evocata da stimoli sonori. Al termine dello studio, i ricercatori hanno avuto modo di fare alcune constatazioni.
I tempi di risposta dei partecipanti al processamento della contraddittoria sia nel caso in cui la conclusione era universale o particolare sono risultati comparabili, sia per le condizioni contraddittorie sia per quelle non contraddittorie Al contrario, i tempi di risposta erano più lunghi quando la conclusione era universale rispetto a quando la conclusione era particolare. Ciò significa che vi è un tempo di reazione più lungo quando il soggetto deve verificare se la conclusione universale contraddice la premessa particolare sia nel caso contraddittorio che nel caso non contraddittorio.
I risultati dei dati registrati ed analizzati evidenziano un complesso network corticale che coinvolge la corteccia Temporo-polare, Brodmann Area (BA) 21,38, la corteccia Orbito-Frontale, BA 10,11,47 e il Cingolo Anteriore BA 32.
Durante il ragionamento, al fine di identificare se la conclusione e’ contraddittoria rispetto alla premessa, il network corticale mostra una significativa maggiore attivazione quando viene processata una proposizione universale. Il limitato carico computazionale richiesto al processamento di una proposizione particolare potrebbe essere dovuto al processamento di un unico esempio, al contrario di più esempi o la mancanza di un controesempio cercato nel caso di una proposizione universale. Come abbiamo detto sopra I tempi di risposta dei partecipanti, più lunghi nel processare una conclusione universale da una premessa particolare sembrano sostenere questa ipotesi.
Al contempo però il network corticale risulta maggiormente attivato durante il processamento di ragionamenti che includono la componente contraddittoria.
In termini pratici, sembra che per il cervello risulti più impegnativo processare informazioni a carattere semantico universale, in seguito ad una premessa di carattere particolare, e questo soprattutto se l’accostamento reca un rapporto di contraddittorietà. Qualora invece fosse chiesto di eseguire il passaggio inverso, ossia processare una proposizione di carattere particolare in virtù di una premessa universale, lo sforzo richiesto sarebbe minore, poiché nell’indagare la coerenza semantica della coppia l’individuo avrebbe a disposizione un numero minore di elementi da confutare.
Tenendo conto delle capacità di un individuo “sano”, perfettamente in grado di rielaborare o accedere ai dati della sua memoria semantica , allora si può inferire che un minor numero di elementi da confutare corrisponde ad un lavoro di minore entità.
Fin qui sembra che non vi sia nulla di irregolare o di illogico: sembra normalissimo che, dal punto di vista del ragionamento, una contraddizione possa richiedere uno sforzo elaborativo/computativo maggiore rispetto ad un elemento semantico di carattere coerente, consistente.
Ma quello che è stato scoperto e che non era stato messo in conto, è che una forma di attivazione non si ha necessariamente solo in relazione al computo mentale, e cioè durante il riconoscimento della validità della sequenza logica, bensì anche in una fase successiva. Tale fase succede al riconoscimento dell’elemento contraddittorio; difatti è stato riscontrato che, una volta individuata la non coerenza, si verifica una ulteriore attivazione dell’area coinvolta.
Questo fenomeno ha dato modo ai ricercatori di supporre l’esistenza di un meccanismo di premio, che accompagna la conclusione del ragionamento. Tale meccanismo è stato chiamato “self-generated reward system”, traducibile come “sistema endogeno di auto gratificazione”.
Questo curioso fenomeno si ipotizza possa essere causato in funzione della tensione dell’individuo che, messo dinanzi ad un elemento di natura problematica, cerca di trovare una soluzione al bisticcio semantico presentatogli. Al termine dell’individuazione si ha un picco dell’attività elettrica localizzata, probabilmente dovuto al fatto che il soggetto in questione è convinto di aver raggiunto un risultato, di aver conseguito una soluzione, di aver risolto con successo una problematica.
Dato che si tratta di una scoperta relativamente recente, la dinamica non è stata completamente indagata nella totalità della sua manifestazione. Si spera possa trattarsi di un nuovo fronte di ricerca che, se intrapreso, apporterebbe nuove conoscenze, utili alla comprensione delle basi evolutive del ragionamento o delle dinamiche che hanno avuto ruolo nel corso dell’evoluzione.
Una proposizione e’ un discorso che afferma o nega qualcosa rispetto a qualcosa. Tale discorso, poi, e’ universale o particolare. Con discorso universale intendo quello che esprime l’appartenenza ad ogni cosa o a nessuna cosa; con discorso particolare intendo quello che esprime l’appartenenza a qualche cosa o la non appartenenza a qualche cosa (Aristotele, Analitici primi I.24, a16-20). [3] La coppia di proposizioni categoriche erano presentate sotto la forma premessa o prima proposizione e conclusione o seconda proposizione. Ad esempio un tipo di coppia di proposizioni può essere: (SaP)+(SoP); proposizione categorica universale affermativa + proposizione categorica particolare negativa. (“Tutte le rocce sono metamorfiche, Qualche roccia non e’ metamorfica.”)