- da Woodstock a Lady Gaga passando per il massacro di Charles Manson
Anche il così detto “spirito dionisiaco” si è rivelato storicamente passibile di una edulcorazione kitsch ad opera della cultura pop. L’archetipo di Dioniso e del suo festoso corteo di baccanti è presto chiamato in causa per interpretare fenomeni quali il concerto rock, il rock festival, l’isteria collettiva e il delirio della folla dinnanzi all’epifania dell’icona rock. Tuttavia quando la stessa icona dionisiaca attiva dinamiche iconoclaste, violente, in alcuni casi in tutto e per tutto sacrificali, la cultura pop mette in scena un certo sbigottimento, una ingenuità kitsch che sembra frutto di una rimozione puntuale di alcuni aspetti che sono invece intimamente connessi al dionisiaco.
Comunemente quando si indagano le origini della Tragedia per carpirne più a fondo l’essenza, allora si finisce inevitabilmente per incontrare la misteriosa figura di Dioniso e dei suoi rituali. A livello iconografico è senz’altro il corteo bacchico contrassegnato dall’ebbrezza divina delle sue Menadi a imprimersi nel nostro immaginario, sicché non deve sorprendere che Dioniso abbia finito per essere concepito prevalentemente in relazione a questa prerogativa, quella appunto dell’ebbrezza.
Tuttavia ciò che comunemente si trascura di ricordare è che i passi danzanti del corteo bacchico si affrettavano immancabilmente allo “sparagmòs”, cioè al dilaniamento selvaggio di una vittima umana o animale che – viva – veniva smembrata per poi essere divorata (pratica chiamata “omofagia”). E’ tenendo conto di questa realtà che Rene Girard scrive “[…]non è possibile dubbio di sorta: Dioniso è il dio del linciaggio ben riuscito”[1].
I primi concerti da stadio dei Beatles, i più selvaggi concerti dei Doors, i rock festivals di Woodstock e dell’isola di Wight, con i loro sacerdoti e sacerdotesse - dai più eterei Mamas and Papas, Joni Mitchell, ai più carnali Janis Joplin, Jimi Hendrix, Jim Morrison, officiarono i pubblici rituali collettivi che consacrarono la mitica (e fugace) summer of love del 1969.
Primavera 1969, Woodstock, Jimi Hendrix |
Il massacro di Charles Manson ne sarà la conclusione sacrificale ed efferata. Una donna incinta, moglie di Roman Polanski, assieme agli altri invitati di una festa sarà massacrata a coltellate da un gruppo di “baccanti” drogate e devote al loro personale Dioniso (Charlie).
Charles Manson |
Sharon Tate morta, scena del crimine, 9 Agosto 1969 |
E non vi è nulla di più kitsch del comune stupore che ciò suscitò nello starsystem hollywoodiano - bisogna essere infatti notevolmente ingenui, o kitsch, per pensare che spalancando le porte alle pulsioni più profonde, con l'aiuto di robuste dosi di droga e alcol, si sarebbe incontrato solo Eros e non la sua controparte, Thanatos.
La cultura pop seppe però diluire e addomesticare anche questo fenomeno. La creazione di icone pop\rock, e il loro pubblico declino divennero prodotto di un mercato che continua a offrire al pubblico lo spettacolo iconofilo della creazione della Star, e spesso, quasi sempre, anche il sadico spettacolo iconoclasta del disfacimento dell’icona (libri scandalistici ne deturpano per sempre lo splendore, come nel caso di Joan Crawford, oppure la droga, l’aids, la malattia mentale o il suicidio ne stroncano prematuramente la giovane vita). E puntualmente, quando la parabola sacrificale si conclude, ne deriva una catarsi che produce il mito- l’eroe, il martire, nella dinamica sacrificale del capro espiatorio, dopo essere stato caricato di ogni male, espiando per la collettività, diviene sacro, diviene santo- e una volta morto può divenire feticcio.
La factory di Warhol, e in generale la pop art (sbarcata alla biennale di Venezia già dal 1964), espliciteranno (o sfrutteranno?) questa dinamica sfornando icone pop, vive o morte, persone oppure oggetti, che possono essere l’icona della coca cola, della zuppa Campbell, al pari della bocca stampata in serie di un Marylin Monroe già morta…L’icona è un fenomeno a uso e consumo dello spettatore, anzi, del consumatore, e davvero poco importa che sia viva.
Andy Warhol, Ultra Violet, Viva |
Negli ultimi anni la vita sessuale di Lady Diana, la presunta pedofilia e infine la morte di Michael Jackson, la tossicodipendenza di Whitney Huston, gli abusi di stupefacenti e i problemi legali di Courtney Love, i soggiorni nelle cliniche di disintossicazione delle ex lolite Britney Spears e Lindsay Lohan, sono solo alcuni degli esempi di omofagia del dio, di cannibalismo mediatico di divi, di reality show del collasso vip.
Interessante in quest’ottica si rivela la consapevolezza dell’ennesima super star di questi giorni, Lady Gaga.
Bionda come Britney, Paris, e Lindsay, altrettanto generosa della propria nudità, ancor più giovane, eppure a differenza loro, sembra pienamente in controllo dell’edificazione della propria icona: compone la propria musica, confeziona i propri vestiti, cura le proprie coreografie, e rilascia interviste condite di citazioni colte e di consapevolezza artistica.
Per sintetizzare quanto detto, paradigmatica fu la performance di Lady Gaga, al momento della sua consacrazione agli MTVMA del 2009: nell’esecuzione del suo hit “Paparazzi” porse al pubblico lo spettacolo del proprio dilaniamento ad opera dei media (impersonati dai ballerini\paparazzi cannibali) culminante nell’ostensione del proprio corpo coperto di sangue (finto) appeso a un gancio come carne da macello.
2009 Lady Gaga, MTVMA, finale della sua performance Paparazzi |
Se da un lato la dinamica sacrificale si dimostra tuttora attiva e inalterata, Lady Gaga sembra determinata a manipolarla coscientemente e a palesarla per noi.
In nome di questa consapevolezza, la barocca, ridondante, Lady Gaga potrebbe finire per risultare meno kitsch dei Mamas and Papas e di Joni Mitchell. Andy Warhol di se stessa, Lady Gaga è artefice tanto della propria surreale icona, quanto della sua iconoclastia rituale.
Quale mostro ha partorito la cultura pop???
[1]René Girard, La Violenza e il Sacro, Milano, Adelphi,2005.
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